Gypo (2005)
There are three sides to every story.
(Ogni storia ha tre lati)

A cura di Lador

Sceneggiatura: Jan Dunn
Cast: Pauline McLynn, Chloe Sirene, Paul McGann
Rula Lenska, Tamzin Dunstone e con:
Barry Latchford, Freddie Connor,
Tom Stuart, Olegar Fedoro, Sean Wilton,
Angelica O'Reilly, Rebecca Clow,
Majid Iqbal, Ashley McGuire.
Durata: 98 min.
Origine: GB.
Lingua: inglese.
Sito: http://www.medbfilms.com/home.htm


Sinossi...
Helen è sposata con Paul da 25 anni. Il loro matrimonio senza amore li costringe ad una vita monotona e priva di sentimenti. Helen è una donna disperata, profondamente danneggiata ed amareggiata dalla vita ma, nonostante tutto, ancora in attesa di un possibile cambiamento. Paul – duro, ipercritico e bigotto, stanco morto di trascinarsi in un'esistenza caratterizzata da un'immobile povertà – si trova sull'orlo di una crisi esistenziale. Ciò che più lo spaventa è il cambiamento. Nelle loro vite, un giorno, irrompe Tasha, una rifugiata Rom di origine Ceca, che attende con ansia di ottenere il passaporto Britannico, e con esso cittadinanza e – finalmente – libertà (concetto dato per scontato da chi che la circonda). La storia, narrata in tre parti distinte, ciascuna dal punto di vista di ogni personaggio principale, mostra come la disintegrazione di un'ordinaria famiglia della classe operaia alla fine arrivi ad un punto di non ritorno, quando inaspettate emozioni vengono allo scoperto.

Dentro la storia...
Ambientato nel Regno Unito, ai giorni nostri, (per l'esattezza nella Contea del Kent, a Margate, un tempo florido porto e zona di prolifici interscambi, ora zona abbastanza depressa e luogo di sbarco degli immigrati) il lungometraggio è diviso in tre sezioni ciascuna nelle quali racconta, sì, la stessa storia, ma dai tre diversi punti di vista dei protagonisti.
In “HELEN” facciamo per la prima volta conoscenza con la famiglia, perno di questo racconto: la madre Helen (Pauline McLynn), da poco passati i quaranta, “nonna giovane”, suo malgrado coinvolta dalla figlia diciottenne Kelly (Tamzin Dunstone) nell'educazione della piccola Jordan (che la ragazza chiama “unwanted brat”, monella indesiderata): a dir il vero la giovane madre single si disinteressa quasi completamente della bambina, lasciandola alle cure della nonna, nonostante sia subito chiaro al pubblico che Helen faccia il turno di notte in un supermercato della catena ASDA e abbia una sola sera libera, che ha tentato di tenere per sé iscrivendosi ad un corso di scultura. Il capofamiglia, Paul (Paul McGann), lotta quotidianamente contro la cronica mancanza di soldi che lo affligge, si disinteressa platealmente della moglie (salvo poi esigere i doveri coniugali ed ottenerli con la forza); divoratore accanito delle pagine di un quotidiano locale, istigatore di pensieri oltremodo razzisti, l'uomo odia gli immigrati, da lui accusati di “invadere” l'Isola e rubare il lavoro a chi ne avrebbe il “diritto”, salvo poi spendere i pochi soldi raggranellati nel suo mestiere di tappezziere con le prostitute, probabilmente anche straniere. Kelly è senza lavoro ma, nonostante ciò, si mostra incurante della propria incapacità di garantire un supporto economico alla figlia e alla famiglia; infine, il figlio Darren (Tom Stuart) che sembra frequentare la propria casa quasi fosse un estraneo, rifiuta il lavoro che la madre gli ha trovato al supermercato, perché troppo “degradante”, e sogna una carriera sicura nell'esercito. Fin qui la situazione drammatica sembra aver comunque trovato un proprio equilibrio, sino a quando, una sera, Kelly non invita a casa Tasha (Chloe Sirene), una dolce ragazza Rom, immigrata dalla Repubblica Ceca con la madre Irina (Rula Lenska) per sfuggire dalla brutalità dei rispettivi mariti. L'impatto dell'arrivo di Tasha nella vita famigliare è esplosivo e fin da subito palpabile: la ragazza dà ad Helen tutta la gentilezza e l'attenzione che la donna da almeno 25 anni non riceveva più. Ne è un esempio la scena in cui le porta il piatto con la cena perché “altrimenti mangeranno tutto”: sullo sfondo si può notare la figlia Kelly che osserva perplessa l'azione (probabilmente l'idea di lasciare parte del pasto alla madre non l'aveva mai sfiorata in tanti anni di convivenza... Nda). Purtroppo, nel rapporto con Paul, la ragazza si vede invece costretta ad affrontare gli impeti razzisti dell'uomo, per niente contento del suo arrivo. L'infelicità di Helen è portata in superficie e finalmente esorcizzata nel confronto finale che la donna ha col marito.
Nella seconda versione, “PAUL”, siamo davanti alla stessa storia, stavolta vista con gli occhi diell'uomo: scopriamo l'ambivalenza di Paul, che odia gli immigrati ma non esita ad assumere per una prestazione lavorativa giornaliera (in nero? Nda) un Iracheno, addirittura offrendogli da bere al termine del lavoro. Lo osserviamo mentre adesca una prostituta per la strada o spende il suo tempo, e i pochi soldi, giocando a freccette e bevendo birra. Nel litigio che ha con Tasha, veniamo a conoscenza che la ragazza stessa è stata una prostituta occasionale (probabilmente solo per arrivare a fine mese. Nda) e non è del tutto chiaro quanto profonda sia la relazione intercorsa tra Paul e la ragazza. Niente nel film dipanerà la questione, per cui possiamo solo arrivare a supporre che Paul conosca il “secondo lavoro” di Tasha – l'altro è quello di cameriera – grazie alla sua frequentazione delle prostitute. Le aspettative di Paul sulla propria vita sono ben riassunte nell'immagine che egli vede di se stesso: un cadavere galleggiante nelle acque del porto. Il baratro esistente tra Paul ed Helen si materializza nei suoi silenzi, negli sguardi, nella sua incapacità di comunicare con la moglie senza prenderla in giro e trova il suo superamento nella risata finale, liberatoria, che l'uomo si concede dopo aver lasciato la donna all'imbarcadero di Margate.
Nella terza sezione, “TASHA”, veniamo a conoscenza dell'intera, triste vicenda della ragazza: Tasha, che si è iscritta alla scuola per parrucchiere, ma ha come sogno nel cassetto quello di fare l'interprete, vive con la madre in un caravan che il Governo Inglese ha messo loro a disposizione in un'area completamente adibita a “quartiere” per gli immigrati. Le porte e le finestre della loro casa vengono accuratamente chiuse e controllate più di una volta: la paura che i mariti tornino a riprenderle, per riportarle nella Repubblica Ceca, è superata in intensità solo dalla fervida speranza di ricevere al più presto il passaporto Inglese e, con esso, la cittadinanza. Tasha è lesbica, anche se non è mai dichiarato apertamente. A ben guardare, col senno di poi, ci rendiamo conto delle piccole pulci nelle orecchie che ci sono state fornite in più parti della sua “versione della storia”: in primis, lo sguardo affascinato e sognante che rivolge ad Helen ogni volta che la vede, dal primo incontro in poi; dichiara candidamente di “non essere interessata a cercarsi un ragazzo” e, inoltre, più di una volta, la sentiamo asserire, quasi a volersi discolpare della cosa, di essersi sposata “perché doveva farlo”, ma di “non amare” il marito, al punto da giustificarne l'assenza con un semplice: “Ho lasciato la Repubblica Ceca: ho lasciato lui.”. Ad ogni mdo, la ragazza esce allo scoperto solo al termine del film: in questo segmento, infatti, vediamo come l'interesse, prima, e l'amore, poi, di Tasha per Helen finalmente vengano a galla, anche fisicamente, e siano accettati, all'inizio non senza una certa doverosa sorpresa, poi ricambiati con genuino e libero trasporto, dalla donna più matura. Questo legame, intenso ed energizzante per entrambe, si rivelerà la forza di propulsione che permetterà a Tasha ed Irina di dare una svolta positiva alla piega tragica presa dalle loro vite nell'ultima parte della pellicola e ad Helen di fare il passo necessario per portare il tanto anelato cambiamento nella propria esistenza. Il finale, uno dei momenti più ispirati e per cui vale la pena aspettare 90 minuti, rivela tutto l'indomito spirito di abnegazione di cui gli esseri umani sono capaci quando mossi da sentimenti “alti” e, se necessario, ci rende una volta di più coscienti che l'amore è in grado di nascere anche laddove meno ci si aspetta di trovarlo e, se lasciato libero di esprimersi, vince su ogni avversità.

Secondo me...
GYPO (la parola, slang, è un dispregiativo inglese per “gypsy”, “cioè “zingaro”, con la quale si definiscono tutti gli immigrati dell’Est Europa che si sono stanziati nel Regno Unito) è un film che si rifà al famoso (e, ormai, un po' “datato”) Dogma 95* e che, a mio parere, funziona su ogni piano stilistico. Ad un primo, superficiale sguardo d’insieme, il film si presenta semplice, la trama neppure tanto elaborata od originale, ma il significato pregnante, la morale, se così vogliamo definirla, della storia è intricato e complesso, straordinariamente ben espresso da un piccolo gruppo di artisti, poco o per nulla conosciuti dal pubblico mondiale, ma non per questo meno degni di nota. Il taglio del montaggio, che rende l'opera quasi documentaristica, la luce naturale e la mancanza di colonna sonora danno un senso di disagio che è necessario a sostenere le tesi del film: la vita della classe operaia ridotta ai minimi termini sia dal punto di vista economico sia umano; la difficile situazione degli immigrati e la loro quasi impossibile integrazione con la popolazione ospite che li considera solo “stranieri”, anziché accettarli come persone; il lavoro sotterraneo che certe ideologie xenofobe sanno espletare sfruttando la disperazione della massa e che sfociano in comportamenti di pregiudizio, abuso e crudeltà. Forse, in mezzo a tutti questi temi duri e, purtroppo, d'allarmante attualità, giunge inaspettata la storia d'amore tra le due donne. Personalmente, non reputo che la piega romantica tra le due sia inopportuna. A mio modesto parere, risulta essere l'ennesima dimostrazione di come la positività dei sentimenti porti sempre al fallimento di ogni tentativo di soffocarli (metaforicamente, il film è costellato di richiami alla “vittoria della luce sul buio”, basti guardare le riprese degli esterni: cieli quasi coperti da nuvole scure dalle quali, comunque, escono lame di luce che si rifrangono sul mare, ad illuminare l'intero spazio dell'inquadratura). Questo film, nato come “biglietto da visita” della regista e della produttrice presso le grandi case di produzione e invece dimostratosi creazione notevole, capace di sorprendere – anche le stesse autrici - e vincere riconoscimenti, lascia l'impronta in chi ha la fortuna di vederlo: credetemi quando vi assicuro che continuerete a pensarci anche molto dopo averlo visto.
Tristemente, nonostante sia uscito nelle sale ormai tre anni fa, in Italia non è ancora possibile reperirlo e penso di non sbagliare nell'affermare che non arriverà mai nemmeno sul nostrano mercato dell'home video. Ad ogni modo, se masticate l'inglese e ve la sentite di buttarvi nell'acquisto, sappiate che ne vale la pena.


Recensioni…

http://www.britfilms.com

http://www.medbfilms.com

http://www.afterellen.com

http://www.rottentomatoes.com

Curiosità...
Uscita nelle sale UK: 20/10/2006
Uscita dvd Region 2: 12/02/2007
Premi: British Independent Film Awards (2005) – vincitore del “British Independent Film Award”
Dinard British Film Festival (2005) – candidato al “Golden Hitchcock”
San Francisco International Lesbian & Gay Film Festival (2005) – vincitore del “Best First
Feature”
Torino International Lesbian & Gay Film Festival (2006) – vincitore della “Menzione
Speciale”

* E' doveroso spendere qualche parola circa il Dogma 95: originariamente, il manifesto è stato creato e sottoscritto da quattro registi Danesi, nel 1995, con l'intento di purificare il prodotto cinematografico dall'eccessivo ricorso a costosi e spettacolari effetti speciali, modifiche in fase di post produzione e altri interventi, in modo da focalizzare l'attenzione sulla storia e sulle performances degli attori. Da allora, 84 film sono stati certificati con il Dogma e il più conosciuto tra questi è certamente il danese “FESTEN”, di Thomas Vinterberg. Un film che appartenga al Dogma dev'essere, tra le altre cose, filmato usando la luce ed i colori naturali, senza luci addizionali ed utilizzando la telecamera a mano (non la macchina da presa) senza filtri ottici aggiunti. Inoltre, non deve avere musiche o rumori aggiunti in post produzione e il regista non deve comparire tra i crediti del film... Da questo punto di vista, GYPO risponde in pieno a tutte le richieste (la “regista” non compare come tale ma come “sceneggiatrice”), spingendosi anche più in là: sebbene il Dogma non lo richieda espressamente, i dialoghi sono frutto della capacità d'improvvisazione degli attori, avendo la regista steso un canovaccio (per altro dettagliatissimo e, per sua stessa ammissione, recante i punti chiave su cui dovevano ruotare i diloghi) e lasciato che fossero gli interpreti a gestire le situazioni. Questo, in alcuni casi, ha costituito un piccolo limite, soprattutto quando gli attori mancavano dell'esperienza necessaria per sostenere interamente la scena ma, nel resto del film, è fonte di situazioni molto forti, che arrivano allo spettatore come veramente “vissute”, come se ci si trovasse di fronte non alla finzione cinematografica, bensì alla vita reale in presa diretta.


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